Finanziamenti, l’aumento dei tassi scatena il “fai da te” tra le imprese

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Finanziamenti, l’aumento dei tassi scatena il “fai da te” tra le imprese

L’effetto scatenato dall’aumento dei tassi si abbatte sui prestiti bancari rivolti al mondo delle imprese, spinte quindi ad auto-finanziarsi. Lo scrive Italia Oggi che riporta l’allarme lanciato dal Centro studi di Unimpresa secondo cui, nell’ultimo anno, la stretta creditizia sul comparto produttivo ha comportato un taglio alla concessione di prestiti per 57 miliardi di euro, con una contrazione dell’8% rispetto all’anno precedente.

«È inaccettabile che i rappresentanti delle banche dicano che la colpa è delle imprese che chiedono meno prestiti», ha avvertito Giuseppe Spadafora, vicepresidente di Unimpresa. «È la storiella del cavallo che non beve, ma a volte non è per mancanza di volontà. Può dipendere, invece, dal fatto che la vasca con l’acqua sia inaccessibile o, peggio, che la stessa acqua sia avvelenata». Sta di fatto che nel corso del 2022 il ricorso all’auto-finanziamento da parte delle imprese sembra diventato davvero la normalità. A certificarlo, i dati raccolti dall’Istat attraverso l’ultimo Censimento permanente delle imprese secondo cui 4 aziende su 5 (80,3%) oggi utilizzano questo strumento per far fronte alle necessità finanziarie. Un dato in forte crescita rispetto al passato. Basti pensare che, nel 2011, vi facevano ricorso appena 2 imprese su 3 (60,4%). Ma anche rispetto al periodo pre-pandemico quando interessava 3 imprese su 4 (74,5%).

Chi utilizza i finanziamenti
«I principali utilizzatori di questo tipo di finanziamento sono le imprese di minore dimensione (82,3% delle microimprese) e, dal punto di vista settoriale, quelle dei servizi», hanno avvertito gli analisti dell’Istat secondo cui, al secondo posto tra le fonti principali di finanziamento, si colloca ancora quello bancario, distinto tra credito bancario a medio-lungo termine (28,2%) e a breve termine (11,5%), in netto calo rispetto al 2018 rispettivamente di 5,4 e 9,7 punti percentuali.

«L’esposizione bancaria è particolarmente elevata nell’industria in senso stretto, dove arriva a toccare il 35,8% per il medio-lungo termine e il 17,5% per il credito a breve termine», hanno continuato gli esperti. In linea con i censimenti passati, invece, il ricorso ad altre forme di finanziamento esterno complementari al credito bancario come il leasing e factoring (9,1%) e i crediti commerciali (5,5%), anch’essi in tendenziale riduzione rispetto al passato. Ma quali sono le fonti di finanziamento interne a cui strizza l’occhio il mondo delle imprese come alternativa al ricorso al sistema bancario? Secondo le rilevazioni dell’Istat, un grande spazio sembra riservato al ricorso all’equity mediante aumento di capitale netto. Mentre il capitale proprio si riduce di un punto percentuale rispetto al periodo pre-pandemico, e resta appannaggio della grande impresa.

Dal punto di vista settoriale, prosegue l’articolo di Italia Oggi, vi fanno ricorso le imprese del settore estrattivo, della ricerca e sviluppo, del trasporto aereo, della consulenza gestionale e della farmaceutica. «La riduzione dell’esposizione bancaria, specialmente di breve termine, trova un contrappeso, anche se di modesta entità, nel sostegno pubblico», hanno avvertito gli analisti dell’Istat. «Incentivi e agevolazioni pubbliche stanno registrando un netto incremento di diffusione grazie ai decreti governativi che hanno fatto seguito al periodo pandemico: la diffusione è raddoppiata rispetto al 2018 arrivando al 3,5% del totale dei finanziamenti, con una concentrazione geografica nel Sud e nel Nord-est del Paese».

Le necessità di finanziamento.
Nel corso del 2022, secondo l’analisi dell’Istat, quasi un’impresa su quattro (24%) ha richiesto prestiti a banche o ad altri intermediari, specie se di media (43,8%) o grande dimensione (40,8%), in particolare nei settori dell’industria e nei trasporti.

«Tre quarti delle imprese lo scorso anno non ha richiesto prestiti, per la maggioranza (77%) perché non c’era necessità di accedere a nuovi finanziamenti, ma anche (in misura minore) perché l’indebitamento era già troppo elevato (6,4%) o il prestito troppo costoso (6,3%)», hanno avvertito gli esperti. «Tra le imprese richiedenti credito, la maggioranza ha dichiarato di averlo ricevuto per l’intero ammontare richiesto (84,4%), e il 9,5% per un ammontare inferiore». Nel complesso, la richiesta di credito è stata rifiutata al 3,5% delle imprese con almeno 3 addetti: tra queste, spiccano l’8,5% di imprese attive nei servizi di alloggio e di ristorazione e il 4,6% delle imprese con meno di 10 addetti.

Perché si chiedono i finanziamenti
Ma a cosa si rivolgono i prestiti richiesti del mondo imprenditoriale? La richiesta di finanziamento esterno, verso il sistema bancario o altri intermediari del credito – scrive ancora Italia Oggi – è motivata soprattutto da esigenze di liquidità o di reperimento di capitale liquido che costituisce il motivo della scelta del 43,1% delle imprese, specialmente se micro (44,7%), seguito dal finanziamento dell’attività ordinaria, come la copertura delle spese per il personale, spese correnti e altre (37,5%, che arriva al 39,4% per le microimprese). «Se le imprese di dimensione minore ricorrono al finanziamento esterno per attività dal carattere operativo e corrente, quelle di dimensioni maggiori vi fanno ricorso per investimenti», si legge nel Censimento dell’Istat. «La terza motivazione più diffusa per il ricorso al finanziamento esterno è invece l’ampliamento della propria capacità produttiva, che interessa quasi un terzo delle imprese (29,8%), in particolare di medie e grandi dimensioni (rispettivamente 50,2% e 45,6%)». Tra le motivazioni meno diffuse, invece, spiccano gli investimenti in nuove tecnologie di tipo digitale che guidano le richieste di finanziamento esterno dell’8,9% delle imprese, con punte oltre il 17% tra le imprese medie e grandi.

Innovazione e digitalizzazione.
La scarsa propensione delle imprese a finanziare gli investimenti in nuove tecnologie, tra 2018 e 2022, è testimoniata anche dalla contrazione delle attività di innovazione legate maggiormente all’incertezza sulle caratteristiche quali-quantitative della domanda futura piuttosto che a mancanza di opportunità tecniche o risorse economiche. E quello che viene fatto, nella maggioranza dei casi ha un carattere poco formalizzato. Soltanto il 20,8% delle imprese con attività di innovazione, secondo l’Istat, hanno individuato al proprio interno una struttura o una persona responsabile dei progetti di innovazione. E appena il 18,3% sembra pianificare i propri progetti di innovazione in relazione a un budget predefinito. Tra i principali interventi messi in atto dalle imprese in campo tecnologico, gli analisti dell’Istat hanno individuato due elementi preponderanti: l’introduzione delle tecnologie cloud e dei software gestionali nei processi aziendali di digitalizzazione e automazione. «L’utilizzo di soluzioni cloud (ovvero in remoto) per il deposito o l’elaborazione dei dati aziendali, è cresciuto nel periodo 2018-2022, per le imprese con 10 addetti e oltre, dal 18,1% al 40,8% delle imprese», si legge nel Censimento dell’Istat riportato da Italia Oggi. «I servizi cloud per l’utilizzo in remoto di software gestionale e amministrativo-contabile hanno invece aumentato la loro diffusione con un utilizzo che interessa attualmente oltre un quarto delle imprese con 10 addetti e oltre».